Luoghi di interesse

pubblicato il 04/04/2018

STORIA MONUMENTI E CHIESE

STORIA

In epoca romana la posizione del territorio di Quarto, quale immediato retroterra di due città: Cumae, antica colonia greca, e Puteoli, colonia romana portuale e commerciale dal II secolo a.C. al IV d. C., ne favorì lo sviluppo agricolo e produttivo. Il territorio di Quarto era strettamente collegato con quello di Puteoli dalla via Consolare Puteolis Capuam (Pozzuoli-Capua), la cui dipendenza è resa tuttora evidente nel nome che esso ancora conserva e che deriva secondo il prof. G. Camodeca dalla mansio ad quartum, punto di sosta e rifornimento posto al quarto miglio da Puteoli. Secondo altri studiosi il nome deriverebbe da“ Ad quartum lapidem Campanae viae”. La via Consolare penetrava nella conca di Quarto attraverso il taglio artificiale della Montagna Spaccata, l’attraversava da un capo all’altro per quasi tre miglia e arrivava nell’agro Campano in località San Rocco, nel Comune di Marano, dopo un non lungo tratto in salita (odierna Cupa Orlando), incassata nel banco tufaceo e protetta da opere di contenimento (G. Camodeca et alii, 2013). 

In diversi punti della conca di Quarto sono documentate tracce di frequentazione risalenti all’età del bronzo antico, come dimostrano i ritrovamenti archeologici avvenuti negli ultimi decenni. Probabilmente fino dall’VIII secolo a. C. la conca di Quarto dovette far parte del territorio rurale di Cuma, che sulla spinta della sua prosperità commerciale, andò estendendo la sua dominazione su una parte notevole di pianura campana, sottraendola agli Etruschi. Quarto continuò ad essere territorio rurale di Cuma, anche quando Cuma fu conquistata dagli osci e anche quando poi sul finire del IV secolo la Campania entrò nell’orbita politica di Roma. La situazione non dovette mutare con la guerra annibalica, poiché Cuma restò fedele a Roma. Probabilmente il territorio di Quarto, fu assegnato a Puteoli fin dall’età augustea, quando vi fu un ingrandimento dell’originario territorio assegnato alla colonia del 194 a.C., ormai insufficiente ed inadeguato per lo sviluppo economico e demografico di Puteoli nel II-I secolo a.C, tanto più che il Liber Coloniarum parla di assegnazione di terre ai veterani di Augusto (G. Camodeca et alii, 2013).

Il tufo giallo napoletano rappresenta il materiale da costruzione predominante negli edifici romani di Quarto; inoltre dall’affioramento trachitico di Marmolite furono probabilmente ricavati i basoli della pavimentazione stradale della zona. La tecnica edilizia di gran lunga prevalente (oltre il 70%) risulta essere l’opera reticolata, talvolta usata insieme a filari orizzontali di tufelli parallelepipedi (Camodeca et alii, 2013). In età imperiale le costruzioni si addensavano non solo lungo la via Consolare Puteolis Capuam, ma anche lungo le sue diramazioni, a testimonianza di una notevole intensità di insediamenti e di popolazione. Lungo queste strade si susseguivano e si inframezzavano ville residenziali, dimore rustiche, cisterne, punti di sosta per i viandanti, sepolcri monumentali. Questi sepolcri appartenevano di certo a gente che aveva proprietà nella zona e che le iscrizioni talvolta consentono di identificare: famiglie ben note a Puteoli, spesso facenti parte dei ceti dirigenti cittadini, o a collegi funerari di associazioni di culto, o anche a persone di condizione sociale inferiore come i liberti. In base alle indicazioni date da Plinio il vecchio, nella sua raccolta enciclopedica Naturalis Historia, la conca di Quarto dovrebbe aver fatto parte di questa famosa terra, esaltata come fertilissima fra tutte, le Leboriae. Accanto alla tradizione cerealicola nella zona dovevano essere largamente praticate coltivazioni specializzate (orti, vigneti, frutteti); ciò sembra possa dedursi anche dalla presenza di numerose cisterne, di pozzi, che fanno pensare anche a colture bisognose di molta acqua. Lo smercio dei prodotti agricoli era del resto facilitato dal fitto reticolo viario e dalla vicinanza dei mercati cittadini. Il gran numero di ville rustiche che si è potuto identificare lascia supporre un notevole frazionamento fondiario e un’ attività produttiva per il consumo locale e delle città vicine.

Numerosi sono i mausolei sparsi un po' dovunque, come quello in località Poggio Spinelli, a due piani, con esterno in laterizio, fino a qualche anno fa inglobato in una masseria. Fra le tombe rupestri, è da menzionare quella in località Grotta del Sole, formata da due ambienti comunicanti.
Ma l'episodio funerario più prestigioso dell'architettura quartese di età romana, che è diventato quasi il suo simbolo, è quello di via Brindisi (edificato tra l'età augustea e il I sec. d.C.), detto comunemente "la fèscina" dalla sua insolita forma a cuspide, che ricorda quella del cestello a punta, usato dai contadini per raccogliere i frutti.
[FONTE BIBLIOGRAFICA: G. Camodeca, P. Caputo, M. Giglio, Materiali per lo studio storico archeologico di Quarto flegreo, Napoli 2013].
[I testi sono stati elaborati dalla dott.ssa Raffaella Iovine, assessore alla cultura, turismo e spettacolo, con notizie apprese da fonti bibliogafiche].

MONUMENTI E LUOGHI DI INTERESSE

LA MONTAGNA SPACCATA

La Montagna Spaccata costituisce una delle più grandiose testimonianze esistenti nei Campi Flegrei a Pozzuoli dell'ingegneria stradale romana, sintesi insuperata, nel mondo antico, di audacia tecnica e di monumentalità.

Si tratta di un profondo taglio (interessante per le sue dimensioni, effettuato probabilmente già in età repubblicana, attraverso l'orlo meridionale del cratere di Quarto), realizzato al fine di permettere il passaggio della Via Consolare Campana. Il taglio del monte è un'opera abbastanza ardita e per la realizzazione fu necessario lo sbancamento delle ultime propaggini del monte Gauro. Il taglio è largo nella parte superiore 78 metri ed è alto 50 metri. Presenta una lunghezza di 290 metri, furono costruiti sui due lati, mura di sostegno con l'opus reticulatum e vittatum.

Nella parte centrale di tale muratura è visibile, in alto, l'accenno ad un'incurvatura che fa pensare a ciò che resta di un arco destinato a sostenere la spinta laterale del terreno. Per la sua realizzazione furono rimossi non meno di 220 000 metri cubi di terreno. Il manufatto ha resistito a tutti i collaudi a cui è stato sottoposto lungo l'arco dei secoli e il sisma del 1980 non ha nemmeno sfiorato le attuali strutture.

CHIESE

CHIESA DI SANTA MARIA LIBERA NOS A SCANDALIS A QUARTO

Le prime notizie della chiesa-madre di Quarto, dedicata a Santa Maria libera nos a scandalis, "liberaci dalle insidie", risalgono al 23 agosto 1243, quando il vescovo puteolano Pietro la consacrò. Di certo, la chiesa fu edificata sul sito di una cappella più antica, poiché in un documento dell'anno 1013 si fa riferimento alla compravendita di un appezzamento di terreno in località ad S. Mariam qui dicitur ad Scandola a Quarto major da non confondere con il toponimo Quarto pictulum che corrisponde all'attuale San Giovanni a Teduccio.

In quello stesso giorno, il vescovo Pietro ed altri prelati campani emanarono una lettera collettiva d'indulgenze a favore dei fedeli che avessero visitato la chiesa dal 1° all'8 maggio, festa di San Michele Arcangelo. Nel primo giorno di questo mese, la Chiesa aveva istituito il rito dell'elevazione della Croce di Maggio, affinché si cristianizzasse l'usanza del Calendimaggio, quando un albero fronzuto, simbolo di rigenerazione primaverile, veniva innalzato dai contadini di mezza Europa tra canti e processioni di sapore pagano. E' interessante notare che nella lettera collettiva d'indulgenze - il cui testo era riportato su un epitaffio, un tempo collocato nell'edificio -, si accennava a due altari della chiesa quartese, dedicati proprio alla Santa Croce e all'Arcangelo Michele.

Una leggenda, raffigurata in un affresco un tempo visibile nella facciata interiore del muro a man destra dell'ingresso, è legata alla fondazione della chiesa, riportata in un documento dell'Archivio Storico Diocesano di Pozzuoli. Nel dipinto erano raffigurati un uomo con un falcone e una donna, creduti il re e la regina di Napoli, fondatori della chiesa per aver adempiuto un voto, essendo sfuggiti agli assalti di un cinghiale nel corso di una battuta di caccia in quel luogo. Infatti, fino al XVI secolo, il Piano di Quarto era ricoperto da un fitto bosco, frequentato dalla corte napoletana per le attività venatorie. Nel 1243, anno della consacrazione della chiesa, il re e la regina di Napoli erano l'imperatore Federico II
di Svevia e la sua concubina Bianca Lancia, madre di Manfredi e sua futura consorte morganatica. La leggenda, pertanto, ha un suo fondamento storico: Federico, vedovo dal 1241 della sua terza moglie, amava i Campi Flegrei, ne frequentò i bagni ed edificò un castello sopra l'altura settentrionale del piano di Quarto, oggi noto come Castello di Monteleone. lnoltre, è risaputo che il grande imperatore era un vero esperto della caccia col falcone, al punto da scriverne un trattato.

A partire dal XVI secolo, gli agricoltori di Marano iniziarono l'opera di disboscamento del piano e di messa a coltura dei terreni. I contadini erano pendolari, poiché a fine giornata facevano ritorno a Marano e solo in determinati periodi dell'anno restavano a Quarto, abitando in alloggi di fortuna. Questi mutamenti spinsero il vescovo puteolano Lorenzo Mongiò, nel 1627, a concedere la chiesa ai frati agostiniani della Congregazione di Santa Maria di Colorito, che si stabilirono nel conventino fabbricato a lato della chiesa. Ma nel 1652, quando per disposizione pontificia i piccoli conventi furono aboliti, iniziarono le ostilità da parte dei maranesi, caratterizzati da episodi violenti e riprovevoli (epitaffi distrutti, preti minacciati, ecc.). Nel 1657, ad esempio, il responsabile dell'erario di Marano, Francesco Di Lauro, sottrasse con la forza dalla chiesa di Quarto il cadavere di tale Caterina Sorrentino per farlo seppellire nella chiesa di Marano. Lo stesso Di Lauro, l'anno seguente, sequestrò la chiave della chiesa per impedire l'accesso ai sacerdoti inviati dalla diocesi di Pozzuoli. ll Di Lauro, scomunicato per questi fatti su intervento del vescovo puteolano Giovan Battista Campagna, si pose sotto la protezione dell'arcivescovo di Napoli, asserendo che con le sue azioni aveva inteso soltanto tutelare i diritti del clero di Marano, sottoposto alla giurisdizione della diocesi napoletana. Senza dilungarci nella cronistoria di una lite giurisdizionale tra le due diocesi, durata oltre due secoli, ci limitiamo a ricordare che gli Agostiniani Coloriti fecero ritorno nei primi anni del Settecento e vi rimasero fino al 1753, per volere dell'amministrazione civica di Marano e invogliati da una donazione, in loro favore, di un fondo con masseria in località Pantaleo. Ciò perché i governatori laici della chiesa - i "mastri" - non furono più in grado di provvedere alle esigenze pratiche del culto, tanto più che a Quarto stava nascendo un villaggio dove, tra gli alloggi di fortuna dei contadini pendolari, iniziavano a fare la loro comparsa le abitazioni per gli stanziali. Cresceva, quindi, la richiesta di maggiori cure religiose.

Gli anni della seconda metà dell'Ottocento furono pieni di fermento per la chiesa di Santa Maria. Intanto, nel 1882, dopo lunghi ed estenuanti dibattimenti, la Sacra Congregazione del Concilio aggiudicò definitivamente la chiesa alla diocesi di Pozzuoli. Sei anni dopo, il vescovo Gennaro De Vivo la eresse a parrocchia, ma solo nel 1913 il suo successore, Michele Zezza, poté nominare il primo parroco, il puteolano Giuseppe Pandolfi, poiché i precedenti sacerdoti avevano sempre rifiutato l'incarico presso quella sede disagevole. Quarto, nel 1911, era un borgo rurale di Marano, con poco più di 2.600 abitanti, sparsi su un territorio di oltre 1.400 ettari; bisognò attendere il 5 febbraio 1948 per decretare il distacco da Marano e la nascita del Comune di Quarto, con i suoi oltre 5.000 abitanti. Tornando alla chiesa, essa fu interamente ricostruita in più riprese, tra il 1862 e il 1899. L'interno dell'edificio si presenta di una estrema semplicità, vivacizzata solo da una decorazione a stucco e oro zecchino negli archi e nella copertura. Questa si eleva sull'unica navata, chiusa dall'abside semicircolare, ed è ripartita in due campate a crociera, poggianti su pilastri corinzi. 
Lungo la navata si sviluppano otto cappelle (quattro su ogni lato), di cui solo le ultime due ospitano altari, dedicati a san Giuseppe e al Sacro Cuore di Gesù. Superato l'arco trionfale, ai lati della navata si aprono due penitenzierie, sovrastate da loggette, prima di giungere all'altare maggiore, dominato dalla scultura policroma della titolare sistemata in nicchia. Di un certo interesse storico-artistico è l'acquasantiera in marmo bianco, riportante la data MDCXXXllll; il pulpito esagonale in noce intagliato, realizzato nel 1916 dal falegname maranese Francesco Moio; un antico dipinto su tavola raffigurante la titolare, nella cappella a Lei dedicata. Dell'antico convento si rinvengono ancora notevoli tracce. A livello planimetrico è evidente la forma del chiostro addossato alla parete sud della chiesa, intorno al quale si sviluppano i vari reparti. Ancora intatta è l'ala occidentale con il lungo corridoio coperto da volta a botte e con alcune celle, adattate ad abitazione del parroco. 
[Fonti webgrafiche: http://www.infocampiflegrei.it/articoli/articolo91.htm]

CHIESA S.S. PIETRO E PAOLO

La Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo è stata istituita nel 1982 ed è pertanto costruzione recente. Dal punto di vista demografico risulta servire circa 9000 abitanti del comune, per un totale di circa 3500 famiglie. Il territorio circostante è caratterizzato da un ambiente prevalentemente rurale e da zone costituite da abitazioni di tipo residenziale. La parrocchia si estende per circa il 50% su un piano collinare con presenza di masserie sparse sul territorio, collegate da viottoli in terra battuta alle grosse vie. Essa soffre di scarsa presenza, dovuta allo spostamento di gran parte dei suoi abitanti fuori del territorio comunale, per motivi di lavoro. La coltura della terra è svolta principalmente dagli anziani, mentre i giovani preferiscono cercare altro tipo di lavoro (anche se saltuario) fuori dal comune di origine, adeguandosi a fare i pendolari o emigrando.

CHIESA S. CASTRESE
La Parrocchia di S. Castrese è sita in Via A. De Curtis 3

CHIESA GESU' DIVIN MAESTRO

La Parrocchia del Gesù Divin Maestro è sita in Via Marmolito 1/A. I lavori di costruzioni della nuova chiesa iniziarono il 7 marzo 2001. La prima pietra è stata posta da Mons. Silvio Padoin, allora vescovo di Pozzuoli, il 21 dicembre 2001. Il 7 dicembre 2004 con solenne celebrazione Eucaristica l'edificio sacro viene aperto al culto. IL 2 luglio 2006 il Vescovo di Pozzuoli, Mons. Gennaro Pascarella ha dedicato a Dio la Chiesa e l'altare, sotto il titolo di Gesù Divin Mestro.